Parte numero 15 del racconto di Sharonlacorta.
Buona lettura e buon fine settimana.
Il giorno dopo, quando Nora se ne fu andata in ufficio, Bruce iniziò il suo giro di telefonate per organizzare le sue date negli stadi che aveva intravvisto.
Dopo una decina di giorni, venne il momento per Bruce di ripartire. Nora spese una lacrima, senza però fare drammi. Bruce l’asciugò col pollice, quale compendio di una carezza al viso.
“Ehi… rocciosa… Stai tranquilla, ci vediamo presto”
“Già…”
“Davvero, tra un paio di mesi sarò di ritorno, sai come volano due mesi?”
“E tu sai cosa sarà il natale senza di te e con la situazione che ho in ballo…? Oh Bruce… Io… non credo di farcela”
“Certo che ce la fai: non ti ammazza nessuno. E poi ti chiamo. Ti scrivo. Scriverò anche per te. Voglio scrivere qualcosa per te, ho già qualcosa in mente”
Nora lo guardò sospettosa.
“Mi auguro che sia scaturito da un pensiero nato fuori dalla nostra camera da letto…”
‘La nostra camera da letto…’ pensò Bruce. Era così che l’aveva chiamata. Dunque faceva parte almeno dell’arredo domestico. Restava ora da vedere se sarebbe riuscito a far realmente parte della vita di quella donna.
I bimbi scesero di corsa. Evan li aveva accompagnati qualche volta a portare a spasso il cane e aveva socializzato con loro. I piccoli percepivano, in quel ragazzo che parlava una strana lingua, che c’era un gran potenziale di gioco… che era lui quello con cui ci si poteva “misurare”. Il giovane fu quindi preso di mira da grandi saluti e grandi abbracci (incluso qualche bacio vischioso…). Quando Evan, o meglio ciò che restava di lui, si fu ripreso, Bruce si accosciò e cercò di attirare vicino a sé i bimbi. In un italiano ancorché stentato disse loro:
“Non fate arrabbiare mamma”
I bimbi, comicissimi, diedero una risposta che somigliava più ad un’accondiscendenza strappata con la forza da uno zio rompiscatole:
“E va bene, va bene!!”
Bruce riuscì ad abbracciarli solo di striscio, poi corsero via.
Nora si sentì percorrere da un forte brivido. Non le sarebbe mai venuto in mente di sostituire nell’equilibrio dei bambini la figura del padre con quella di un altro uomo, per quanto più valido potesse essere. Ma vedere una disposizione d’animo da parte di tutti e tre la commosse.
Bruce si rialzò e tornò a guardarla. Gli occhi di Nora divennero nuovamente lucidi.
“Ehi! Smettila… come si fa ad arginare tutte queste lacrime?”
“Torna presto. Ti prego”
“Lo farò, non dubitare”
Bruce, un leggero groppo in gola, indossò gli occhiali scuri, poi rapido e senza voltarsi indietro salì sul SUV e chiuse la portiera, Evan lo seguì rapido. Jon, un lieve cenno di saluto, senza nemmeno alzare le mani dal voltante, iniziò la marcia indietro.
Nora sentì di nuovo quella cieca disperazione provata all’aeroporto, montarle prepotentemente nel petto. Non voleva singhiozzare davanti ai bambini. Non doveva farlo. Ingoiò e ingoiò e ancora ingoiò, nel disperato tentativo di impedire alle lacrime e ai singhiozzi di uscire. Sentì una manina infilarsi nella sua. Era Emma.
“Mamma, piangi?”
Gli occhi le pungevano.
“No piccola mia, non piango” Forzò un sorriso.
“Sono solo… dispiaciuta perché Bruce è mio amico e mi dispiace che parta”
“Ma torna?!” strillò Andrea
“Sì che torna!!” gli strillò di rimando sua madre, prendendolo in giro.
“Allora perché piangi?” chiese Andrea, il culmine della logicità, con le manine aperte.
“Andiamo a giocare?” propose Nora.