“È tutta qui la tua reazione?”
La chioma di capelli rossi tremava impercettibilmente, scossa da un brivido nervoso.
L’uomo, un blocco di fogli bianchi davanti a sé e un pennarello nero, con la punta grossa, iniziava a scrivere una lista di numeri. Dopo una breve riflessione, scriveva di fianco ai numeri, i titoli delle canzoni che avrebbe suonato circa 48 ore dopo, un’altra arena, un altro oceano di persone sudate e sfigurate dall’eccitazione e dalla gioia. Non alzò lo sguardo dal foglio.
“Che vuoi che ti dica. Io sto lavorando.”
“In caso ti fosse sfuggito, ci sono anch’io nel tuo staff. È lavoro anche per me. Solo che il mio non finisce, una volta scesa dal palco. Ci sono i tuoi figli da accudire e loro hanno diritti tanto quanto se non più dei tuoi stramaledetti fans!!”. Il tono di voce si era talmente alzato che il suono le si era strozzato in gola. Le vene le gonfiavano ancora la pelle del collo e gli occhi, fiammeggianti, erano lucidi di lacrime rabbiose.
L’uomo continuava a scrivere. In realtà non sapeva cosa dire. Non poteva farci nulla: la furia comunicativa che lo possedeva da quasi due anni, lo aveva portato a fare il giro del mondo quattro volte ed ora si accingeva a ricominciare. Sentiva dentro di sé che quella era un’occasione da non perdere, che di lì a poco avrebbe ancora avuto molto, tanto da dire ma non ne avrebbe più avuto la forza. Ingoiò un altro sorso di Red Bull.
La rabbia della donna spumeggiò, giunta quasi ad esaurimento.
“È pazzesco. Nemmeno i tuoi figli ti interessano più.”
Si voltò e fece per andarsene, ma si fermò quando la voce di lui, roca, imperiosa, che incuteva rispetto, replicò:
“È ingiusto. Sono un artista, questo è ciò che faccio. Non puoi accusarmi di non interessarmi ai miei figli perché non dedico loro il 100% del mio tempo. Non ce ’ho nemmeno per me, quel tempo.”
“Bravo. Allora continua a dedicare il 100% del tuo tempo a persone che manco vedi in faccia, in combutta con quei pazzi furiosi dei tuoi colleghi!!!”
Questa volta si girò di scatto e se ne andò, incurante del fatto se avrebbe potuto o meno esserci una replica.
‘… Perché mi fai questo…?’ pensò scuotendo la testa, mentre scriveva gli ultimi titoli della scaletta.
“Non hai detto una parola per tutto il volo” fece Steve, l’immancabile fazzoletto piratesco calcato fino agli occhi.
Bruce mugugnò.
“Così male?! Maledizione. E il motivo?”
“Il solito leit motiv. Il tempo. I figli. I fans. Sono stanco, Steve. Ma non, purtroppo, del mio lavoro”
“Ah. Beh, stavolta avremo modo di consolarti…” il ghigno piratesco gli deformò il viso.
Alla rockstar sfuggì un sorriso.
“Gesù… che avete in mente? Cosa devo aspettarmi??”
“Ma no, niente di che… Una specie di rinfreschino post concerto… Facce nuove. Potrebbero aiutarti a non pensare troppo alle sfuriate di Patti.”
“Mah. Vediamo come mi sento dopo. Sono libero di rifiutare, vero, se per caso non ho voglia, senza offendere nessuno?”
“Come sempre. Sei tu, il Boss….”
“Aaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhh………………. Ora mi butto sotto la doccia….” fece Nils.
“Non ditemelo… E’ finita?? E’ davvero finita?? Una vacanza di SEICENTO GIORNI? Non può essere vero. Signore svegliami, ‘ché sto sognando!” disse Max.
“Quella della doccia potrei appoggiartela….” aggiunse Bruce, completamente fradicio di sudore e ancora col fiatone.
“Ehi Bruce! Non dimenticare… il terzo tempo!” Steve si affrettò a ricordare all’amico/datore di lavoro gli impegni mondani.
Bruce s’infastidì. Ora l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la stanchezza che, tutta di un botto, stava piombando sulle sue membra, al fatto che la sua testa era ben sveglia, il cuore desideroso di continuare a comunicare la sua vitalità al pubblico ed allo stesso tempo restio – come il cervello del resto – a processare i rovesci della medaglia (una moglie scontenta, una band mandata a riposo). Non aveva voglia di parlare o pensare ad altro. Quindi la doccia… la vedeva proprio bene.
“Steve… Steve. Lasciami almeno riprendere fiato”.
“Ti aspetto in macchina, man”.
L’ultimo bagno di folla, l’ultimo saluto, le ultime mani sfiorate degli irriducibili fuori dallo stadio, poi un tuffo nel grande SUV nero, la cui portiera si chiuse dietro di lui, ovattando i suoni di quella realtà fatta di rumore, calore, persone. Bruce si lasciò cadere sul sedile posteriore, Steve di fianco a lui, il sorriso piratesco nuovamente a solcargli il viso.
“Allora, sei pronto, man?!”
(continua…)
Vi è piaciuta la prima parte del racconto scritto da Sharonlacorta? Che ne pensate?
Sabato prossimo seconda parte.