di PAOLO PAGANI
“Hi Bruce, sono Potus, eccomi al sixteen hundred”. Era divertente immaginare che la primissima telefonata del primo Uomo Nero di Chicago alla Casa Bianca fosse questa, e che fosse un’interurbana riservata al Boss del New Jersey. E allora, con o senza quella telefonata preventiva, per il “We Are One: The Obama Inaugural Celebration at the Lincoln Memorial”, la cerimonia d’insediamento di Obama, domenica 18 gennaio (diretta su SKY VIVO, canale 109) nel gelo della capitale del mondo, Springsteen c’è eccome. A 48 ore dalla kermesse ufficiale, il rito quadriennale di salita al trono del pianeta in calendario martedì 20 tra feluche e discorsi ufficiali (Barack giurerà sulla Bibbia che fu di Abramo Lincoln), non poteva essere altro che un concerto il sigillo al cambio di stagione americano. E non poteva mancare il vecchio Bruce, capofila di una parata di 19 stelle rock tutt’altro che cadenti, la generazione dell’i.Pod di Barack, che comprende Bono & U2, Stevie Wonder, Beyoncé, James Taylor, Sheryl Crow, John Mellencamp Shakira eccetera eccetera.
Springsteen, durante la maratona estenuante della campagna elettorale più lunga della Storia, aveva scritto: “Obama parla all’America che racconto da 35 anni con la mia musica, una nazione generosa, disposta ad affrontare problemi intricati e complessi, un Paese interessato al suo destino collettivo e al potenziale del suo spirito comune”. Forse con una canzone sola come previsto dal protocollo, un brano scelto apposta, magari dal suo “Working on a dream”, il prossimo album in uscita il 27 gennaio, il Boss dalle 19 alle 21 ora di Washington guiderà con la sua Fender scrostata del ’64 la band di Rob Mathes, in diretta e in chiaro sulla rete televisiva HBO, la tv pubblica più vicina, forse, all’anima di un Paese che sta diventando Promise Land, la Terra Promessa di un’antica ballata struggente del menestrello dell’asfalto yankee.
Il produttore esecutivo dell’evento, George Stephens Jr, riferisce che si stanno scegliendo “musiche e performance che, in una forma o nell’altra, abbiano basi nella storia, perché qui c’è un senso di storia, il Lincoln Memorial è, in un certo senso, un luogo sacro”. Difficile immaginare cortesie di un ospite più indicato del vecchio, giovanissimo Bruce, coi suoi 58 anni improbabili. “Bruce è il primo nella playlist del mio iPod. Quando parliamo al telefono, lui mi chiama con il suo soprannome, Boss. Ma io gli rispondo sempre: beh, tu lo sei già,ah ah ah…” fece sapere al mondo il candidato Obama, in un’intervista divenuta leggendaria a Rolling Stone. Come già giovedì 28 agosto, giorno dell’Avvento alla Convention democratica, dentro alla calca elettrizzata del Pepsi Center di Denver, il Boss suonerà perciò per la coppia presidenziale che dovrà cambiare il mondo. E mai probabilmente come per Barack & Michelle Obama, in una domenica da registrare in dvd, il rock spargerà sciamanica, medicamentosa energia epica dal vivo. Springsteen, l’Omero della Nuova Era, simbolo e sacerdote scaruffato di The Rising, la risalita, il farsi forza, il rinascere da una stagione horribilis, guerre e famiglie americane più povere di prima. Può una metafora essere più calzante, può esistere qualcosa che, per l’occasione al Lincoln Memorial di Washington, renda meglio l’idea di quel vecchio titolo di un vecchio album del Boss? Divertitevi.