Eccoci alla terza parte del racconto scritto da Sharonlacorta,avete indovinato chi è il protagonista?
La puntata precedente la trovate qui.
Salì al posto di guida e, da dentro il SUV, invitò Nora a salire. La donna si guardò intorno, interessata dalla macchina; dopo aver messo in moto Bruce rimase come sospeso.
“Dove?”
“Dove cosa”
“Dove si va a mangiare in un posto tranquillo? Sei tu di casa, qui”
“Vai dritto fino all’incrocio, poi gira a destra”
Bruce partì.
Nora lo portò verso la tangenziale, poi gli fece percorrere qualche chilometro nella campagna lombarda. Era buio, ma Bruce era tranquillo, insolitamente tranquillo, come non lo era – negli ultimi tempi – nemmeno vicino a Patti.
Finalmente giunti a destinazione, Nora scese, Bruce la vide scambiare qualche parola col ristoratore; effettivamente era tardi, lei stava probabilmente contrattando la possibilità di farsi preparare invero fuori orario, un piatto di pasta.
Gli fece cenno di scendere, cosa che fece, dopo aver spento la macchina.
Nora lo circondò discretamente con le braccia, assumendo un fare da cospiratore.
“Mio padre conosce molto bene questo posto e il proprietario è disposto a fare un’eccezione, vista l’ora. Ti trovi nel ristorante dove si mangia la miglior cotoletta alla milanese di tutta la Lombardia. Vieni”
Nora gli fece strada verso la sala principale del ristorante, uno spazio tutto sommato raccolto, in un edificio vecchio, deliziosamente ristrutturato, che aveva divisori ricavati da scaffali a giorno su cui stavano ben ordinate parecchie bottiglie di vino. Il solito gusto italiano, pensò Bruce, questo posto non potrebbe essere in nessun altro luogo se non qui.
Si sedettero e si fece loro incontro un cameriere allampanato e con pochi capelli.
“Nora, buonasera! Ma che sorpresa! Il papà sta bene?”
“Buonasera, Stefano, benissimo grazie e scusate l’incursione a tardissima ora… fortuna che eravate ancora aperti. Questo signore è un’artista e viene dagli Stati Uniti. Gliela facciamo una bella cotoletta uso vostro??”
“Preparo anche le patatine”
“Non dimentichi la Bonardina, Stefano….”
“Arriva subito!” la voce del cameriere li raggiunse che lui era già quasi scomparso.
Bruce sorrise. Solo gli italiani avevano quel dinamismo verbale; il suono di quella lingua lo deliziava.
“Non ho capito una parola ma… Era fantastico starvi a sentire”
“Se hai tempo e pazienza ti insegno qualche frase… So che impari in fretta: i tuoi concerti ti rendono gran merito! Hai parlato persino in dialetto…”
“Gesù… sempre meglio del tedesco. Cos’hai ordinato…? Così, tanto per sapere”
“Cotoletta – una fetta di nodino di vitello, battuta, che viene immersa nell’uovo e poi passata nel pan grattato e fritta nel burro chiarificato, patatine fritte – ma fresche e tagliate a mano a rondelle e un rosso leggero e mosso dell’Oltrepò, che si chiama Bonarda”
“Ne sapevo di più prima… Mi par di capire che ti piace cucinare”
“… e mangiare. E anche quello direi che si vede”
Bruce si accarezzò il mento guardandosi intorno. Benedisse quella criminale abitudine dei ristoratori italiani di portare il cestino del pane prima di qualsiasi altra cosa e quando il cameriere tornò con la bottiglia di vino, Nora si fece disinvoltamente avanti per assaggiarlo. Una volta “promosso”, il vino venne mesciuto ad entrambi.
Bruce abbassò lo sguardo sul liquido rubizzo prima di rialzarlo verso la sua commensale.
“Grazie. Per avermi regalato dei momenti di calma”
Nora fece tintinnare il bicchiere contro quello della rockstar.
“Grazie a te. Per avermi concesso il tuo tempo prezioso”
Si guardarono negli occhi. Erano vicini ma forse non abbastanza per scambiarsi un bacio. Nelle loro menti, dietro i loro occhi, passarono tutti i pensieri del mondo. Continuarono a guardarsi, noncuranti dell’ambiente – seppur silenzioso e deserto – che li circondava, era come se stessero galleggiando, con tutto il tavolo e le sedie. Nora posò il bicchiere, poi, con gli occhi bassi, mormorò:
“Io devo provare a farlo, Bruce, perché se non lo facessi, so che me ne pentirei per il resto della vita”
Si avvicinò in modo deciso eppure dolce e posò le sue labbra su quelle di lui. Rimase lì, continuando a muovere le labbra sulle sue, e si stupì del fatto che fossero così morbide, del fatto che fosse profumato di dopobarba, del fatto… che stesse lentamente restituendole il bacio.
Riaprì gli occhi, sorpresa non poco di non essersi accorta di quando li aveva chiusi e vide che la guardava sorridendo.
“Sei la benvenuta… Avrei deplorato che non l’avessi fatto”
“Non… mi sono fatta portare a cena per questo. Non sono venuta a quella festa per questo. Vorrei che tu mi credessi”
“Io ti credo. Stai tranquilla. Nessuno deve fare il processo alle intenzioni di nessun altro. Mica sono stato a guardare”
“Ecco le cotolette!!” il cameriere spezzò l’incantesimo del momento.
Ad ogni boccone tagliato e mangiato, ad ogni sorso di vino versato e bevuto, Bruce scuoteva la testa incredulo di quanto potessero essere buoni il cibo e la bevanda che stava gustando. Nora, dal canto suo, sorrideva soddisfatta, come se avesse cucinato con le sue mani.
Verso la fine del pasto, Nora gli consigliò un dessert, accompagnato da un bicchierino di vino dolce, poi lo forzò a bere un caffè.
“Sei sazio? Stai bene ora?”
Bruce, i riflessi leggermente rallentati dal vino, sorrise.
“Mai stato meglio… Ma ora chi guida?”
“Non ti preoccupare… ti porto io a nanna. Dimmi solo dove ti devo portare”
Bruce cercò di ricordare il nome dell’albergo, poi si frugò le tasche dei calzoni alla ricerca del portafogli dove era quasi certo di aver un bigliettino da visita del hotel. Lo trovò e lo porse a Nora. Lei sapeva perfettamente dove si trovava e fece salire Bruce sul SUV, mise in moto e partì.
La testa appoggiata al poggia testa, gli occhi chiusi, Bruce canticchiava a labbra chiuse il motivo di Life itself. Pareva in uno stato di assoluta beatitudine, a prescindere dalla percentuale di benessere certamente indotta dall’alcool.
“Dove dormi….?” biascicò, quasi senza rendersi conto di aver parlato.
Nora, gli occhi fissi sulla strada gli rispose.
“A casa dei miei genitori”
“E’ lontano…?”
“Non molto, no”
“Non ce n’è bisogno, se non te la sentissi di guidare”
“Stai tranquillo, siamo quasi arrivati”
Nora venne percorsa da un brivido, come una scossa elettrica, dal sacro fino alla cima della testa. Doveva ignorare quello che Bruce le aveva appena proposto. Non avrebbe dovuto essere difficile, innanzitutto era alticcio. Quindi poco attendibile. E poi erano entrambi in una situazione familiare assolutamente limpida, nel senso che, a prescindere dalle varie ed eventuali incomprensioni, erano entrambi sposati con figli.
Ferma ad un semaforo lo guardò. Si era appisolato, se non lo avesse aiutato non avrebbe nemmeno guadagnato il letto, figurarsi cimentarsi in un amplesso con una sconosciuta. Era un uomo normale, nemmeno tanto alto, nemmeno tanto bello. Ma con una personalità smisurata ed era quello che lo rendeva così irresistibile ai suoi occhi e presumibilmente agli occhi dei fans (anche maschi) di mezzo mondo. Ma, nonostante questo… c’era sempre la questione di mogli, mariti, figli.
Giunta a destinazione, si fermò, scese dal SUV e andò ad aprire la portiera di Bruce, e a svegliarlo. Sorrise, leggermente impastato.
“Non sono solo ubriaco, sai? Sono anche molto stanco”
“Dopo solo tre ore di concerto? Non dire scemenze…” Nora ridacchiò, Bruce fece lo stesso.
Nella hall dell’albergo la rockstar venne deferentemente salutata dal portiere di notte. Si fermò, tenendo con leggerezza la mano di Nora nella sua.
“Sei sicura di voler tornare a casa? Fermati. Sono certo che ne hanno di camere libere”
“Anch’io sono certa che ne abbiano, per le tue tasche… Vado a far nanna dai miei, ti ringrazio”
“Che c’entra. Hai l’aria stanca anche tu, sai? Wonder woman…”
Nora in effetti, iniziava a sentire la stanchezza fisica che, visto che si era sorbita anche l’attesa allo stadio oltre al concerto stesso e la festa, poteva addirittura essere superiore a quella di lui.
“Mi fermo. Però non sono d’accordo”
Bruce l’abbracciò leggermente, portandola verso il bancone e prendendo la chiave che il portiere di notte gli porgeva.
Arrivarono al piano, Bruce fece strada, aprì la porta della camera di Nora e le fece cenno di entrare, poi le porse la chiave.
“Ecco qui. Io sono dall’altra parte del corridoio, se hai bisogno, – sorrise, guardando quanto di colpo si notasse che era stanchissima – ma credo che ne riparleremo domattina…”
Nora prese la chiave.
“Grazie. Sei un vero gentleman”
Bruce si allontanò.
Nora si chiuse la porta dietro le spalle. Buttò la borsa su di una sedia, si tolse le scarpe e si godette la sensazione dei piedi nudi sul pavimento. Si massaggiò il collo che ormai da anni non le dava tregua, girò la testa. Si avvicinò alla finestra che ancora per poco sarebbe stato uno schermo nero punteggiato delle luci della città, e guardò fuori. Che serata incredibile. La prima cosa che avrebbe fatto l’indomani, sarebbe stato chiamare la sua migliore amica, Giulia e relazionarla dettagliatamente. Giulia l’avrebbe ammazzata! Anche lei era una fan di Bruce Springsteen ma in quella particolare occasione non aveva proprio potuto andare al concerto, un maledetto impegno preso mesi prima per un viaggio organizzato. Anzi aspetta, si disse: le mando un sms. Si avvicinò alla sedia per recuperare il cellulare da dentro la borsa quando sentì bussare alla porta. Sorrise… Bruce doveva essersi dimenticato qualcosa… Ma certo! Le chiavi del SUV: se le era tenute lei per errore.
Guardò dallo spioncino ed infatti era lui. Aprì la porta, iniziando a dire:
“Lo so, le chiavi del SUV…”
Bruce entrò in camera spingendola col suo corpo verso l’interno.
“Anch’io devo provare a farlo perché se non lo facessi, me ne pentirei per il resto della vita”
La baciò con trasporto, chiudendosi la porta dietro le spalle con il calcagno. Iniziò a cercare un lembo di maglietta o di camicetta, per riuscire a togliergliela, mentre Nora tentava almeno di rallentare il ritmo. Quando la sua bocca scese nel suo collo, lei trovò modo di parlare.
“Bruce… aspetta… non possiamo… non possiamo!”
“Lo so…” rispose Bruce, iniziando ad aprirle la cerniera dei jeans.
Nora riuscì ad arginare la furia dell’uomo. Gli prese il volto tra le mani e lo guardò, nella penombra. Quanto le piaceva. Poteva quasi essere suo padre. Un padre giovane, certo, ma pur sempre un adulto di quasi vent’anni più anziano di lei, che certo non era una ragazzina. Il desiderio era chiaramente intellegibile sul suo volto, nei suoi occhi, in quegli stupendi segni lasciati dal tempo. Addolcì l’approccio, baciandolo più teneramente ed anche lui, si fece più delicato, facendola cadere sul letto. Qui la passione riprese il sopravvento e si ritrovarono nudi in un momento. Nora mormorò:
“Tua moglie… tua moglie è magra… è bella… è magra….”
Bruce l’abbracciò, avvolgente.
“Io voglio te, adesso”
“Ma io sono grossa….”
“Voglio te, adesso” ripetè, come se fosse la cosa più logica del mondo.
E la notte brevissima poiché stava ormai volgendo al termine, cedette il passo all’alba e questa al mattino, che li salutò, abbracciati e profondamente addormentati, come due qualsiasi amanti, in una qualsiasi camera d’albergo.
(CONTINUA PROSSIMA SETTIMANA)